Il silenzio assordante di un Dio bambino
1 DICEMBRE 2023
Il contesto storico rumoroso nel quale siamo immersi fa sì che la celebrazione del Natale del Signore possa subire un forte decentramento nei cuori e nelle priorità a causa "dell'offuscamento delle menti e di tanta guerra, tra le persone, nelle famiglie e tra le nazioni".
Nel tempo liturgico dell'Avvento è insita la domanda che la Chiesa e ogni fedele, per tornare all'origine dell'Io, del vivere e del quotidiano, dovrebbero porsi nell'avvicinarsi alla Notte Santa: qual è la cosa più importante della vita? La domanda sembrerebbe di colossale portata, come difatti è anche la risposta, ma in realtà per noi cristiani dovrebbe essere spontaneo dire, con don Giussani "La cosa più importante della mia vita è quest'uomo nato dalle viscere di una giovane donna, che ha vissuto, ed è morto, ha deciso di morire per salvare gli uomini verso cui tante volte espresse il suo sentimento di pietà: «Ed ebbe pietà di loro perché erano come un gregge senza pastore». Se Dio si è fatto uomo, questo uomo è l'oggetto supremo dell'amore. Non c'è niente di più concreto di questo, perché cambia l'oggi, cambia lo sguardo mio a te".
E se riconoscere questa presenza potrebbe risultare facile, la verifica è far sì che dall'incontro con Cristo l'Io possa rinascere, possa cambiare lo sguardo sulle cose, "il mio sguardo a te". La difficoltà entra nella nostra vita per rendere più autentico il rapporto con questa Presenza: Dio fatto uomo.
Dio si fa uomo per farci riposare dal disordine dell'Antico Testamento, da un'agitazione di ricerca, da un affanno di pretesa, in cui intorpidiamo la purezza del desiderio profondo e vero del cuore, che è un desiderio semplice, un desiderio da bambini, un desiderio che non inquina con la nostra pretesa su noi stessi, sugli altri, sulla Chiesa, su chi è responsabile, su chi non lo è; non inquina con la nostra pretesa il bisogno vero che abbiamo dentro, il bisogno di felicità e di giustizia che si dipana nelle situazioni della vita e della storia.
E la Vita della storia del mondo, Gesù Cristo, penetra nel silenzio. Il Verbo di Dio, la Sua Parola, viene nel silenzio della meschina storia umana. Perciò, di fronte a questa sproporzione, lo sforzo deve essere quello di far diventare tutti i nostri lamenti, le fatiche del quotidiano, lo stridore del peccato e dell'egoismo, silenzio orante, come appunta Clemente Rebora: «Il mio canto è un sentimento / Che dal giorno affaticato / Le notturne ore stancò: / E domandava la vita».
Fare silenzio non vuol dire dimenticare la vita. Questo, in fondo, non avviene mai. Se alla fine dei tempi Cristo stesso ci chiederà conto di cosa avremo fatto o non fatto ad uno solo dei suoi fratelli più piccoli, se persino i nostri capelli sono tutti contati, se neppure il dono di un bicchiere d'acqua sarà dimenticato in cielo, se ogni parola che diciamo sarà giudicata, ebbene, neppure noi possiamo fare silenzio dimenticando la vita. Ma la vita, anche agitata, anche disordinata, entra nel silenzio quando ascolta ciò che le è originario, quando si lascia dire, come Marta quel giorno, che «una sola cosa è necessaria», che c'è una sola «parte migliore» che non viene mai tolta: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno [una sola cosa è necessaria]. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta» (Lc 1o,41-42). Dovremmo vivere in silenzio, almeno come intenzione, almeno come desiderio, come quando Marta, dopo il richiamo di Gesù, è rimasta lì, senza più dir nulla, colpita e ferita da quella parola.
Colpita perché tutto il suo sforzo umano, tutta la sua pretesa del cuore, tutto il suo desiderio di pienezza prendeva senso in quell'uomo che sedeva in casa sua. E se il Padre ci ha detto tutto in Cristo, cosa pretendiamo aggiungere? Dio stesso viene a riposarsi in casa mia, viene a redimermi! A me spetta solo riconoscere la parte migliore, Lui stesso, un Dio bambino che cambia per sempre il mio "sguardo a te".

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